Aprirà al pubblico sabato 9 febbraio, alle 18, presso la Galleria Capece, in piazza Aldo Moro a Maglie, la personale di Fabio Leone dal titolo Poplitic Icons, che vedrà la rivisitazione di dieci famosi personaggi storici in chiave digital-pop. La mostra sarà visitabile anche domenica 10.
Si tratta di personalità di primo piano che vale la pena menzionare una ad una: Winston Churchill, Evita Peron, Mahatma Gandhi, John Fitzgerald Kennedy, Vladimir Ilic Lenin, Ernesto Guevara, Rita Levi Montalcini, Napoleone Bonaparte, Regina Elisabetta II, Martin Luther King.
L’arte digitale, in particolare quella Pop, che prende ispirazione – o quantomeno strizza l’occhio – dai grandi maestri del passato, geni delle discipline visuali come Andy Warhol (come non ricordare le sue Marilyn?), Roy Lichtenstein, James Rosenquist, solo per citarne alcuni, trova una delle sue più alte espressioni (nonché il suo maggiore successo commerciale) proprio nei ritratti di grandi personaggi, rivisitati nei modi più disparati. Che siano colori psichedelici e accesissimi o tonalità neutrali, i ritratti sprigionano quel senso di spaesamento che era tipico del pensiero Pop, e che si ritrova, in tempi recenti, nelle nuove generazioni di artisti che lavorano con il digital-pop.
Come dalle correnti neoplastiche, passando attraverso quelle dadaiste, si arrivava alla Pop Art, così da quest’ultima si sono sviluppati tanti modi di fare arte oggettiva, pur mantenendo degli aspetti peculiari che caratterizzano ogni singolo artista. Così, nell’era della rivoluzione digitale, gli artisti sono arrivati a confrontarsi con le nuove tecnologie e con tutti gli strumenti e le possibilità (potremmo dire infiniti) che queste offrono.
Un’arte indubbiamente immediata, come immediati sono i messaggi convogliati dalla pubblicità, a partire dai cartelloni stradali e dagli spot televisivi, fino alle modernissime tecniche persuasive che si possono trovare in Rete. Un’arte dall’impatto visivo forte e, per certi versi, permanente nelle menti degli utenti. Un’espressività che non poche volte usa l’ironia e sembra mettere in guardia contro l’omologazione e la ripetività dell’individuo moderno e delle sue stesse emanazioni artistiche.