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La fotografia contro la violenza sulle donne


In occasione della Giornata Nazionale Contro la Violenza sulle Donne del 2012, l’associazione fotografica Obiettivi, in collaborazione con il comune di Racale, ha organizzato un concorso fotografico dal titolo She – Quotidiano al Femminile.

Il concorso, gratuito e aperto a tutti, ha consentito a ogni partecipante di inviare due foto a testa, ed è stato presieduto da una giuria tecnica che ha scelto tre foto vincitrici. Inoltre, le venti foto più belle sono state stampate e ed esposte nella mostra fotografica permanente inaugurata lo scorso 24 novembre a Racale.

Nel corso della serata di inaugurazione della mostra si è svolto anche un dibattito sul tema della violenza sulle donne.

La finalità del concorso, spiegano gli organizzatori, vuole essere:

Una sorta di esplorazione fotografica fra le donne del nostro tempo. Donne vere, con veri sentimenti, veri lavori, vere relazioni umane in rapporto con il proprio ambiente famigliare ed il mondo esterno.

A essere protagonista indiscussa, quindi, è la donna, con le azioni che giornalmente la fanno essere esempio delle quotidiane esistenze e centro, anima pulsante della società.

Aggiungono i promotori della pregevole inizitiva:

Attraverso le immagini del concorso fotografico si vogliono evidenziare gli atteggiamenti e i ruoli che da sempre la donna ricopre nella società odierna. Una presa di coscienza per esprimere attraverso le immagini, gli aspetti e gli impegni che tutte le donne si trovano ad affrontare oggi, ancor più che in passato, tra forti pressioni e cambiamenti, causati dalle situazioni legate alla crescita, al lavoro, alle relazioni personali, alla famiglia e alla società.

Punto fermo del discorso è l’attitudine delle donne alla resistenza e alla reazione ad uno stato di cose che le mette ogni giorno alla prova e che le trova impegnate a fronteggiare momenti che appaiono in contrasto fra di loro, come lavoro e famiglia, sentimenti e razionalità, emancipazione e discriminazione. Non viene infine dimenticata la bellezza – che fa rima con grazia e femminilità – la quale può portare qualcosa di buono anche nei frangenti più difficili del vissuto.

Da qui l’idea che la fotografia, raccontando il vivere quotidiano ma anche i sogni e le aspirazioni delle donne, possa far aprire gli occhi sulla straordinarietà di ogni attimo della vita per poi far guardare con forza in direzione di tutte le donne che lottano – ogni giorno e in tutto il mondo – contro le violenze e le umiliazioni e che pretendono giustizia.

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Arriva a Lecce “In viaggio alla ricerca della libertà” di Toti Bello


Lo scorso 13 giugno, presso il Vintage di Lecce, è stata inaugurata la mostra fotografica di Toti Bello dal titolo “In viaggio alla ricerca della libertà”,
che rimarrà aperta fino a mercoledì 20.

Salvatore “Toti” Bello, nato a Presicce, classe 1965, è fotografo freelance e ha all’attivo numerose collaborazioni con diversi giornali.

“In viaggio alla ricerca della libertà” conta sedici immagini che hanno come soggetto gli immigrati giunti a Manduria nella passata primavera. La mostra
proposta da Bello è davvero coinvolgente, soprattutto perché nelle sue istantanee raccoglie le storie, i sentimenti, le emozioni e le speranze di persone costrette a lasciare la propria terra per trovarsi davanti l’ignoto, l’incertezza.

Il punto di partenza – sia della storia dei migranti che dell’azione artistica del fotografo – può essere fatto risalire alla “Primavera araba”, ovvero l’inarrestabile successione di sollevazioni che ha interessato, in un recente passato, vaste aree, comprendendo Libia, Egitto, Tunisia. Tutte terre a due passi dalle coste europee.

Corollario delle rivolte non poteva che essere un’accentuazione del flusso migratorio che dalle terre in cui un numero esorbitante di esseri umani viveva un incubo a occhi aperti si spostava verso l’Europa.

Ed è proprio questo che viene impresso nelle immagini di Bello (oltre a una descrizione della condizione oggettiva dei migranti): lo stato d’animo di questa gente che per non doversi più scontrare con l’orrore quotidiano ha deciso di guardare oltre il confine della propria terra e cercare in altri luoghi lontani una vita migliore. In queste foto l’artista coglie appieno non solo quello che di brutto queste persone hanno lasciato alle proprie spalle ma anche la speranza di un futuro possibile, i sorrisi, la profondità degli sguardi, il colore degli occhi.

La mostra offre all’osservatore numerosi spunti di riflessione, e un pensiero non può non andare a quando – non troppi anni addietro – i migranti in cerca di
futuro eravamo noi italiani. Ritrovare noi stessi nello sguardo di un migrante è uno dei momenti più alti che le fotografie di Bello ci regalano.

Gianluca Conte

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A Galatina “Perseo” del maestro Mimmo Anteri


Sabato 5 maggio, alle 18,30, presso il Museo Civico Pietro Cavoti, verrà inaugurata la personale di pittura del maestro Mimmo Anteri da titolo “Perseo – identikit di un mito”.

La mostra, a cura del critico d’arte Angela Serafino, vedrà l’intervento del professor Gianluca Virgilio, presidente dell’Università Popolare Aldo Vallone.

Mimmo Anteri, nato a Grottaglie ma residente e operante a Gallipoli, è sicuramente un artista tra i più originali e significativi della cultura salentina, e non solo, in quanto le sue opere sono conosciute ed apprezzate non solo sul territorio nazionale ma anche all’estero. Un artista i cui lavori non a caso sono stati definiti ricchi di “geometrie esistenziali”, per dirla con Battiato.

La pittura del maestro Anteri esprime i segreti della natura, i suoi lati arcani, nascosti. Le sue scelte cromatiche, insieme all’equilibrio e all’armonia del tratto, rendono questo straordinario artista quasi un aedo della forma e dello spazio, dell’aria, dei cieli.

Il simbolismo della sua arte, che porta l’immagine verso una rimozione della realtà così come appare, è lo specchio di un cammino artistico che interseca in più punti il vissuto dell’artista, così che i paesaggi interiori e quelli fissati sulla tela convergano secondo la naturalità dell’essere.

La ricerca dell’Anteri pone come suo punto cardine i colori, nel cui mistero, secondo lo stesso artista, è nascosta la vita, e con la vita l’energia, la forza che consente all’uomo di innalzarsi ad un livello superiore d’astrazione.
È con i colori che il maestro esprime le proprie emozioni, i propri sentimenti, il proprio percorso, ricco di storia e di miti che, metaforicamente, rappresentano le profondità del sentire umano.

Gianluca Conte

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All’HEA 180 di Lecce la mostra “C’eri e non ceri” di Giuseppe Zilli


Giovedì 26 Aprile, alle 20, presso il pub HEA 180, si aprirà la mostra di pittura e scultura “C’eri e non ceri” di Giuseppe Zilli, che resterà visitabile fino al 6 maggio.

L’iniziativa continua la serie di eventi proposti da HEA 180, spazio alternativo che sotto la direzione artistica di Raffaele Quida ha già organizzato diverse esposizioni.

Questa mostra di Zilli, che nel titolo gioca con le parole “c’eri” e “ceri”, è l’ultima, in ordine di tempo, ad avere come caratteristica principale l’aspetto delle pratiche rituali nelle religioni – a prescindere dalle singole fedi – dopo “Riti della mente” e “Peccati celati”.

In “C’eri e non ceri” l’artista si approccia alla fede ortodossa e spiega come è nata l’idea portante di questi ultimi lavori: “All’interno dei loro templi, gli ortodossi usano accendere i ceri a suffragio sia dei morti che dei vivi. La distinzione tra i due atti consiste in questo: per i morti i ceri vengono accesi vicino al Crocifisso, per i vivi vicino alla Madonna”.

Le opere di Zilli seguono questa dinamica, anche sotto l’aspetto cromatico, come egli stesso chiarisce: “Per i lavori che corrispondono al cero posto vicino al Cristo Crocifisso, quindi ai morti, ho usato il ‘pigmento’ rosso, perché simbolo della Passione, del sangue, della violenza; per quelli che invece corrispondono al cero posto vicino alla Madonna, cioè ai vivi, ho scelto il ‘pigmento’ giallo. Quest’ultimo si rifà a un pezzo dell’Apocalisse di Giovanni, in cui l’evangelista descrive la Madonna come ‘la donna vestita di sole’”.

Una peculiarità che contraddistingue le creazioni pittoriche di “C’eri non ceri” è l’assemblaggio materiale delle stesse, create con l’utilizzo di carte cucite e dipinte con pigmento e appese alle pareti con grucce in metallo realizzate appositamente dall’artista, cosa che rappresenta una novità assoluta nel campo artistico.

Gianluca Conte

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Alle Officine Cantelmo “L’Occhio Magico” di Knulp Malevich


Domenica 15 aprile, alle 18,30, presso le Officine Cantelmo a Lecce, si apre la mostra di Knulp Malevich dal titolo “The Magic Eye”, che propone diversi ritratti di alcuni tra i più importanti e indiscussi maestri della fotografia mondiale.

La mostra, organizzata dalle Officine Cantelmo in collaborazione con FotoScuolaLecce, è a cura di Alessandra De Donatis e sarà visitabile fino al 29 aprile.

I profili dei fotografi in questione sono visti attraverso una lente e sono molto originali. Si parla di personaggi – vale davvero la pena menzionarli – del calibro di Bernard Plossu, Chiara Samugheo, Ferdinando Scianna, Francesco Cito, Gabriele Basilico, Gian Paolo Barbieri, Gianni Berengo Gardin, Giovanni Gastel, Letizia Battaglia, Mario De Blasi, Robert Frank, Massimo Vitali, Rino Barillari, Ernesto Bazan, Tano D’Amico, Nino Migliori. Lo si evince chiaramente dalla presentazione di Pippo Pappalardo, critico d’arte: “famosi artisti dell’otturatore e del diaframma, disposti a reggere un pezzo di vetro, quasi fosse la lente cristallina del loro occhio, e come in un film di Bunuel, ci giocano, quasi fosse una protesi distaccatasi dal loro corpo”.

Nella serata del vernissage verrà proposto al pubblico “The Magic Eye”, libro edito da Il Raggio Verde a cura di Ulderico Tramacere e con il progetto grafico di Bruno Barillari.

“Ho sottoposto al ‘gioco’ i grandi protagonisti della fatale invenzione (la fotografia) e ognuno di loro mi ha donato una possibile risposta (un’immagine)”. A volte era umile, talvolta provocante, spesso sorridente (persino ironica), talaltra contraddittoria, quasi a volermi dire: cosa vai cercando?
Ho capito, da questa esperienza, che neanche un cliché, una cornice, un espediente riesce ad imprigionare la complessità di un volto, per chi vuol guardare, per chi vuol farsi guardare. E io, dietro il mio pezzo di vetro (la macchina fotografica) – sempre più luminoso, sempre più artefatto – io resto ancora nascosto, guardando come un bambino, dentro l’occhio magico del mio strumento, confidando di aver indovinato la giusta sintonia, la registrazione di un’autentica presenza”, spiega Knulp Malevich.

Gianluca Conte

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Il grembiule, parabola della condizione femminile


Si intitola “94 gradini. Il grembiule tra simbolismo e narrazione” la manifestazione che parte oggi presso il complesso dei Teatini a Lecce, organizzata dall’associazione “Le ali di Pandora”. La mostra, che rientra nella rassegna Itinerario Rosa è visitabile fino al 25 marzo dalle 17 alle 20. “Coniugando il dialogo con il pubblico e i linguaggi trasversali dell’arte – spiega il circolo in una nota – abbiamo voluto sollecitare una riflessione sulla condizione della donna di ieri, oggi e domani, attraverso un comune pezzo di cotone, il grembiule, che fino a pochi decenni fa per la donna rappresentava un grido muto in un mondo che la voleva muta o matta e chiusa in uno stato di sudditanza. La gestualità del grembiule, il modo di indossarlo o sventolarlo fu usato per urlare in silenzio il suo sentire, la sua ribellione”. Gli artisti presenti sono Maria Grazia Anglano, Mauro Amato, Francesca Ascalone, Paola Bitelli, Floriana Brunetti, Luigi Cannone, Daniela Cecere, Enrica Cesano, Francesca Cucurachi, Eliabò, Mirko Gabellone, Rosanna Gesualdo, Lucy Ghionna, Monica Lisi, Patrizia Macchia, Alessandro Matteo, Massimiliano Manieri, Luca Nicolì, Romina Tafuro. In particolare, nella sua performance Massimiliano Manieri parlerà della donna come una violazione in movimento. Di seguito gli eventi collaterali della manifestazione nei prossimi giorni.
23 marzo – ore 19 – performance – “La Tetta” de I parolai di via Adda
25 marzo – ore 18 – balletto – Un grembiule di parole- allievi del Corpo Parlante
ore 19 – incontro “Il grembiule tra simbolismo e narrazione”

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Al Caffè Letterario di Lecce i “Cuori” di Tokigno


Mercoledì 14 marzo, alle 21, presso il Caffè Letterario a Lecce, si aprirà la mostra “Cuori” dell’artista Tokigno.
Al vernissage sarà presente il critico d’arte Angelo Centonze, che illuminerà i presenti sull’universo creativo dell’artista vercellese trasferitosi a Lecce.
L’esposizione, composta da dodici opere polimateriche, ha come cardine “Il cuore come propulsore di sangue, di vita nel bene e nel male, emozione, sensazione di gioia e dolore in costante alterno pulsare”.
La scelta dell’artista di rappresentare il cuore, anzi più cuori allo stesso tempo uguali ma diversi, non è casuale. Il cuore è l’organo “involontario” per eccellenza, quello che volenti o nolenti regola la nostra vita, il nostro stare al mondo, non solo in senso strettamente fisico. Perché il suo pulsare è da secoli il simbolo dell’amore, del sentimento, e, più in generale, delle forti emozioni. Che siano queste ultime positive o negative sono proprio esse che fanno accelerare sensibilmente il battito cardiaco, o a volte ne alterano il ritmo. In passato, quando il corpo umano era ancora un mistero insondabile, le risposte del cuore ad alcuni stimoli, facevano supporre che al centro del petto vi fosse la sede dei sentimenti e delle emozioni.
Tokigno, attraverso le sue opere create con l’utilizzo di vari materiali, ripercorre, filtrandola con la propria esperienza e il proprio sentire artistico, quell’emozione così completa che solo l’unione tra materia pulsante e dolcezza di spirito – incarnata dall’organo della vita per antonomasia – può rendere.
La mostra sarà visitabile fino al 4 aprile.

Gianluca Conte

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Allo spazio sociale Zei la mostra fotografica “Rifiuti poco speciali”


Il fatto che il Salento non sia soltanto la terra del “sole, mare e vento”, è ormai cosa assodata. Questo territorio deve giornalmente affrontare problemi di grande vastità: sociali, economici, ambientali. Ed è proprio dall’ambiente, spesso volutamente o sbadatamente bistrattato, che prende le mosse “Rifiuti poco speciali”, mostra fotografica a cura del corso di fotografia tenuto da Zei e svoltosi tra ottobre e dicembre dello scorso anno.
L’esposizione, inaugurata in febbraio, resterà visionabile ancora per qualche giorno presso la sede di Zei, in via dei Chiaramonte a Lecce.
“Il Salento è una terra bellissima, spesso è una cartolina e molto spesso è sporco. Fuori dalle immagini che si vedono sulle guide turistiche, oltre il muretto a secco e davanti ad un mare cristallino si nascondono l’inciviltà, l’incuria e la strafottenza di chi inquina consapevolmente. Oltre la cementificazione, oltre l’abusivismo, oltre il continuo “mangia-mangia” a cui questa terra è da tempo soggetta ci sono un mare di rifiuti che vogliamo definire “poco speciali” perché sono sotto gli occhi di tutti ed ormai fanno parte, inconsciamente, del nostro paesaggio” si può leggere sul documento che presenta la mostra.
I partecipanti hanno saputo cogliere al meglio lo spirito dell’iniziativa, presentandoci, con i loro scatti, un Salento non certo nascosto, anzi, sotto gli occhi di tutti, ma proprio per questo diventato quasi “normale” ai nostri occhi. È la solita vecchia storia, quando qualcosa è troppo evidente, finisce per diventare invisibile. Il messaggio della mostra appare chiaro, ovvero non assuefarsi alla logica dell’indifferenza e del menefreghismo riguardo la natura, l’ambiente, la vita stessa, come recita il sottotitolo dell’evento: “Mostra fotografica contro l’inquinamento della nostra terra e per un Salento più pulito”.

Gianluca Conte

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“The paper the pig and his artist”: Salvatore Masciullo a Galatina


Ancora pochi giorni per ammirare la mostra “The paper the pig and his artist”, personale di pittura di Salvatore Masciullo a cura di Katia Olivieri e con il coordinamento di Gigi Rigliaco. Inaugurata presso la Art and Ars Gallery di Galatina lo scorso 12 febbraio, si chiuderà domenica 11 marzo.
L’esposizione è stata allestita con opere nate dalla mano dell’artista nell’ultimo quinquennio, lavori di soggetti e formati diversi che marcano un esatto percorso artistico e temporale.
Lo stesso titolo scelto dall’autore e dalla curatrice – che potrebbe suonare come una provocazione – tende a porre l’accento sul fatto che della cultura, della storia, dell’informazione, in special modo del giornale che nel quotidiano ci informa sugli accadimenti del momento storico che viviamo, non dovremmo buttare nulla, proprio come recita il celebre motto riferito al maiale.
Masciullo, inoltre, presenterà dei lavori su carta, con i quali, riutilizzando dei fogli di quotidiani, offrirà un supporto a prima vista solo funzionale per poi rivelarsi ironicamente come tacita esortazione a non dimenticare. Un’azione che porta con sé una nuova interpretazione della nostra realtà, mitigandola con immagini identificabili e piacevoli per poi rendercela in tutta la sua chiarezza attraverso l’utilizzo dei titoli e delle diciture.

Nel luogo della mostra sarà possibile assistere al video “Attake” , stimolante testimonianza del simbiotico rapporto fra Salvatore Masciullo e Jorg Immendorf, del quale l’artista fu non solo allievo in Accademia a Dusserdolf, ma anche assistente, amico, interprete e ed esecutore materiale delle volontà del maestro durante gli anni della malattia.

Gianluca Conte

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A Nardò l’esposizione “Dal Cuore al Colore” di Angela Fracella


Lo scorso 5 febbraio, presso il Dribbling di Nardò, in via Giuseppe Grassi, è stata inaugurata la mostra d’arte “Dal Cuore al Colore” di Angela Fracella, giovane artista copertinese attualmente residente a Nardò. L’esposizione sarà aperta al pubblico fino a domenica 19 febbraio.
La Fracella presenta 19 opere aventi come caratteristica principale il quotidiano, che, nella sua arte, si traduce in una ricerca di facce, atteggiamenti, mimiche, in ultima analisi, espressioni, che la pittrice trasferisce nelle sue creazioni.
L’artista usa diverse tecniche tra cui quelle dell’acquerello, del pastello e della matita. Si tratta, in buona sostanza, di primi piani che ritraggono volti di contadini, donne di casa, bambini, amici ma anche tipologie umane marginali come i clochard e uomini di strada.
Il suo sentire e vivere la pittura nasce dalla congenita passione per l’arte e il per colore che stimolano un’inclinazione ad esprimere stati d’animo e sentimenti del quotidiano, guadagnandosi per questo alcuni riconoscimenti in concorsi regionali e nazionali. Cromaticità, luce e tratto spaziano tra ritratti e paesaggi.

Gianluca Conte

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Passaggio rosso di Mina D’Elia


Lo scorso 30 dicembre, a San Donato di Lecce, presso l’Edicola di Notte sita in Largo chiesa, è stata inaugurata la mostra “Passaggio rosso” di Mina D’Elia.

L’opera, che rimarrà in esposizione per due mesi, è stata presentata dallo storico e critico d’arte Cecilia Leucci.

È un’opera dal forte impatto visivo quella della D’Elia, artista salentina di grande talento e spontaneità, per la quale esprimersi artisticamente è una funzione vitale al pari del respirare, dormire, mangiare, come l’artista stessa scrive nella sua (auto)biografia: “In realtà tutto accade fisiologicamente, si attraversa con coraggio la certezza del proprio limite e ci si lascia portare dall’‘organo dell’immaginazione’ che, invero, ha sede in ciascuna parte del nostro essere”.

“La mostra rappresenta l’opportunità della presentazione al pubblico di un’opera inedita dell’artista, da sempre indirizzata verso la ricerca in campo femminile e ambientale.

‘Passaggio rosso’ si delinea come una sorta di soccorso nel momento del bisogno, poiché come un estintore, si ipotizza la surreale possibilità di ‘rompere il vetro in caso di necessità’.

L’opera è allegoria di un’evoluzione latu sensu, del proprio corpo e di quello di chi ci attornia; un viaggio all’interno di fantasie, aspirazioni e memorie, di obiettivi raggiunti o abbandonati.

Tutto fuoriesce da una valigia rossa, colore del desiderio e della passione.

Tutto, compresa la storia di un territorio, fatta di valigie di cartone e speranze dei nostri avi migranti. Il colore è però soprattutto una delle tinte guida dell’artista, la quale – tramite l’uso del rosso e del bianco – diviene messaggera di un mondo in frantumi, che si può ricomporre solo con la consapevolezza di sé e di ciò che ci assedia”, spiega Cecilia Leucci, curatrice della mostra, alla quale abbiamo rivolto alcune domande in merito all’opera e, più in generale, all’arte della D’Elia.

Lei dice che Mina D’Elia è da sempre orientata verso la ricerca in campo femminile e ambientale: può chiarirci questo punto?

I termini “femminile” e “ambientale” non sono casuali.

Mina D’Elia si occupa da sempre della figura femminile, delle sue peculiarità, del mondo che circonda l’essenza stessa dell’essere donna, riferendosi alla sfera fisica, con la realizzazione – ad esempio – di busti o interi corpi in gesso, che simboleggiano l’involucro per mezzo del quale la donna si racconta; ma anche psicologica, indirizzandosi verso oggetti non prettamente femminili, come la serie degli elmi e dei copricapo, che si rivelano però allegoria di una donna milite, combattiva, in grado di fronteggiare le avversità e di occupare posti di comando comunemente associati all’uomo (si veda in questo senso la serie de “Le papesse”).

L’ambiente è un altro tema molto caro all’artista, la quale ha intrapreso una battaglia personale contro il massacro della nostra terra causato dall’incontrollato sfruttamento di risorse e dallo smodato abbondare di impianti per energie rinnovabili, che se da una parte potrebbero risultare una sostanziale soluzione all’inquinamento ambientale, dall’altra rappresentano il totale annichilimento delle nostre ricchezze territoriali, devastando lo skyline salentino e distruggendo le potenzialità dei suoli coltivabili.

Si potrebbe dire che in questa installazione l’aspetto cromatico – come il titolo sottolinea – sia preponderante?

Assolutamente si! Il rosso (come il bianco) è uno dei colori cardine nell’arte della D’Elia. Nel caso specifico di “Passaggio rosso” la scelta del rosso è da riferirsi alle caratteristiche che il colore notoriamente racchiude in sé: passione, calore, energia, pericolo, eccitazione. L’installazione rappresenta una provocazione: è il modo che l’artista ha scelto per esortare al cambiamento, per stimolare la ricerca dell’altro da sé, per sollecitarci a seguire i nostri desideri. Il rosso per la D’Elia diviene inoltre metafora della “forza semantica dell’arte” – come lei stessa la definisce – ovvero la capacità di dare vita ad un cambiamento, di indirizzarsi verso la salvazione, di riappropriarsi della capacità di scegliere, che oggi ci viene spesso negata dalla necessità di omologarci per renderci più gestibili e governabili, tramite l’assenza di archetipi emozionali.

Quale è il rapporto, nella ricerca artistica di Mina D’Elia, tra le aspirazioni del singolo individuo e quelle della moltitudine che insieme diventano quelle di un territorio – il Salento – che si è scontrato più volte con il fenomeno della migrazione?

Presumo che questa domanda derivi dal fatto che la valigia è stata associata anche agli “avi con le valigie di cartone”. Certo, è un simbolo anche quello, ma nella fattispecie l’artista vuole solo ricondursi ad un momento storico in cui le valigie erano piene di speranze e di prospettive; un momento in cui ci si spostava dalla propria terra per cercare un posto migliore, per garantirsi e garantire una vita più agevole e serena. “Passaggio rosso” non è un inno alla migrazione né vuole banalmente ricondursi alle gesta dei nostri antenati; è piuttosto un simbolo ed è notorio che nella storia dell’arte il simbolismo ha un valore non da poco, che permette di generare collegamenti mentali, stimolando le associazioni di idee e la capacità di comprendere determinati messaggi. Gli avi con le valigie cariche di aspettative devono essere da esempio per intraprendere un viaggio verso l’ignoto, che potrebbe regalare nuove prospettive interiori.

È possibile attribuire a “Passaggio rosso” una valenza catartica?

Speriamo di sì! L’obiettivo della D’Elia è proprio quello di scrollare il pubblico dormiente, sebbene parlare di catarsi potrebbe risultare presuntuoso.

Sicuramente chi ha avuto o avrà modo di affrontare l’installazione, un certo cambiamento interiore lo accuserà, sempre che sia in grado di spogliarsi delle sovrastrutture formali, troppo legate al pragmatismo del mondo contemporaneo, spesso incapace di affacciarsi oltre le apparenze.

Gianluca Conte

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A Lecce arriva “Eresia” di Christian Montagna


Approda a Lecce una delle mostre più interessanti presenti sull’attuale scena artistica italiana; stiamo parlando di “Eresia” di Christian Montagna, giovane artista salentino che ha maturato importanti esperienze artistiche in Italia e all’estero a partire dalla metà degli anni novanta.

La mostra, inaugurata lo scorso 17 dicembre, rimarrà aperta al pubblico fino all’8 gennaio presso la sala espositiva museale dell’Agenzia per il Patrimonio Culturale “Euromediterraneo”, sita in piazzetta Duca d’Atene.

Le opere di Montagna possono essere definite come “figurazioni dello squilibrio”, nel loro richiamare, con decisione, luoghi metafisici dal carattere tra l’onirico e l’apocalittico.

La sua odierna ricerca pittorica tende all’approfondimento del processo con il quale la luce, impregnandosi di colore, definisce la natura delle figure facendo emergere una palpitante energia fatta di dissolvimento di materia e di violenti accostamenti cromatici, che anticipano un’atmosfera di imperscrutabile raccoglimento.

Questa nuova serie pittorica, questa “Eresia”, in parte generata nel periodo che l’artista ha trascorso a Berlino nell’estate del 2011, è di una potenza espressiva inaudita (complice l’ottimo allestimento della mostra ad opera dello stesso Montagna). “Eresia, un universo permeato di luci e ombre, mera desolazione e spirali architettoniche dall’incedere inquieto in una dimensione destrutturata”, spiega l’autore.

Ma l’arte di Montagna non è soltanto magnetismo cromatico dall’inquietante luminescenza e parti di universi che richiamano, in un certo senso, atmosfere post-orwelliane; l’artista sembra celare nelle sue opere – come egli stesso afferma – un messaggio psicologico e sociale: “L’attuale processo pittorico è un mondo alchemico attraverso il quale mi è stato possibile continuare a denunciare (in maniera indiretta) ciò che mi circonda in questa società, ma anche di esorcizzare i miei demoni. Ora, lascio scorrere il tutto: emozioni ed esistenza”.

Gianluca Conte

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